IL FICO D’INDIA CHE FRUTTIFICA TUTTO L’ANNO: IL METODO INNOVATIVO DI ETTORE BOI, CONFERITORE AL MERCATO AGROALIMENTARE DELLA SARDEGNA

Ettore Boi, 71 anni originario di Ussana, dopo aver lavorato una vita nel settore dei sistemi di sicurezza, vent’anni fa ha abbandonato il commercio per diventare un agricoltore.

Un cambio di passo che a cinquant’anni, dopo la chiusura della sua azienda, gli ha consentito di seguire le orme del padre un possidente terriero ma, soprattutto, di riscoprire la sua vocazione a contatto con la campagna delle origini che prima, non aveva mai davvero amato.

L’imprenditore agricolo, nei suoi tre ettari a Ussana, oltre a piante da frutto coltiva il fico d’India che a differenza di quanto accade nel resto del mondo, fruttifica durante l’intero arco dell’anno grazie a particolari accorgimenti nella potatura, sperimentati dall’imprenditore agricolo. “Produco soprattutto la varietà gialla chiamata “Sulfarina” ma anche quella rossa detta “Sanguigna” più dolce e ricca di polifenoli e la bianca “Muscaredda”. La più richiesta al Mercato Agroalimentare della Sardegna è la gialla – spiega Boi – e dopo averla pulita e messa nelle cassette la vendo al mercato ad un prezzo congruo”.

L’imprenditore produce anche la varietà detta “Burrona” o “Cristallina” i cui frutti maturano in periodi diversi e presenta già, per sua natura, una fruttificazione bipara. Di solito, il fico d’India si raccoglie solo due volte all’anno e la potatura si esegue tra la primavera e l’inizio dell’estate (tra metà aprile e non oltre il 24 giugno, il giorno di San Giovanni). Attraverso la scozzolatura, ovvero la completa rimozione dei fiori e dei frutti non ancora maturi, ci si assicura l’insorgere dei “bastardoni”, i frutti tardivi che nascono tra settembre e novembre e hanno una migliore qualità. Il signor Ettore invece, ha elaborato un metodo che garantisce una resa molto più copiosa e continuativa.    

“Su un ettaro di terreno ho impiantato circa 400 piante su cui eseguo una scozzolatura solo parziale da metà aprile a fine giugno – spiega Boi – con un diradamento che dipende dalla distanza.  Con questo metodo, su una stessa pala si trovano sia gli “agostani” che i “bastardoni” che mi garantiscono più fruttificazioni e di conseguenza più raccolti.  Anche adesso, in novembre, sto vedendo i frutti che stanno appena nascendo. In questo modo ho battuto i siciliani e il mio prodotto risulta migliore sotto il profilo organolettico avendo a disposizione una produzione nuova e fresca”.

È un rapporto speciale, una connessione intima e viscerale quella creata tra l’imprenditore e le sue piante.  

“Per coltivarle – prosegue l’imprenditore – devo essere come un bravo addestratore che viene premiato dai risultati eccezionali che ottiene.  Raccolgo i frutti quasi tutto l’anno come dimostra la ricerca condotta da Enea e presentata a Zurigo, alla Fao da Ilaria Demuro e ripresa in una pubblicazione dalla ricercatrice Loretta Bacchetta. Ogni annata è diversa e mi sorprende assistere a questo miracolo. Parlo con le piante come se fossero degli animali, le accarezzo e le ascolto – confida il coltivatore – perché sono esseri viventi con una vita complessa e hanno sviluppato una intelligenza superiore rispetto al mondo animale, come dimostra la forte capacità di adattamento. Il fico d’india è una pianta nobile, sacra per il popolo degli Aztechi – prosegue Boi – e ancora oggi la bandiera del Messico riporta l’immagine di un’aquila che uccide il serpente su una pianta di cactus”. Questa coltivazione è una valida risposta al bisogno di sicurezza alimentare perché rappresenta una coltura strategica per affrontare le sfide ambientali e socioeconomiche in modo sostenibile e resiliente. “In un libro della Fao del 2017 intitolato “Crop Ecology, Cultivation And Uses Of Cactus Pear” – ricorda l’imprenditore – il fico d’India veniva citato come la coltivazione in grado di salvare il pianeta dalla siccità e dai cambiamenti climatici”. Il testo evidenzia il ruolo del fico d’India considerato una delle poche colture capaci di crescere e adattarsi ad ambienti aridi e siccitosi.  La pianta del fico d’India ha svariati impieghi anche su scala industriale: può essere utilizzata per produrre l’olio di semi per la cosmesi, le marmellate, per il settore farmaceutico, per realizzare le biomasse o come foraggio o mangime per il bestiame soprattutto nei periodi siccitosi o come nutriente per la terra ma “io sono convinto – evidenzia Boi – che questa coltivazione possa garantire la sopravvivenza dei piccoli produttori e rappresenti un  valido attrattore per riportare i giovani all’agricoltura. La pianta ha radici che si sviluppano con la pioggia e successivamente si ritraggono. Anche la fotosintesi clorofilliana è particolare – aggiunge l’imprenditore – perché gli stomi si aprono durante la notte con un risparmio di acqua di circa il 30%. Ci sono poi gli aspetti organolettici: il frutto e le pale sono ricche di minerali, fibre e vitamine in particolare la C. Nel 1500 lo utilizzavano per contrastare lo scorbuto diffuso tra i marinai nel Mediterraneo. Inoltre – prosegue Boi- è un ottimo stabilizzatore intestinale e favorisce la peristalsi”. Complessivamente esistono circa 250 varietà di fico d’India e considerate le condizioni pedoclimatiche favorevoli della Sardegna ci sono ancora margini di crescita ma bisognerebbe favorire la sperimentazione considerando tutte le stagionalità per far vivere l’agricoltura con continuità garantendo una buona remunerazione per gli agricoltori. “Per adesso abbiamo nell’isola la mia esperienza e mi chiedo se sarà replicabile. Io la vedo come una grande opportunità per le nuove generazioni e per il lavoro femminile anche perché la produzione non ha bisogno dell’apporto di fitosanitari. Ho però un cruccio – aggiunge con amarezza Boi – vedo poca disponibilità e dialogo tra gli agricoltori ancora troppo isolani e isolati. Mi sembra che stiamo sprecando il valore del fico d’India che ha una resa decisamente migliore rispetto ad altre produzioni. Ci vorrebbe un progetto per sviluppare queste colture. Un tempo la campagna non mi attirava – conclude Ettore Boi – ma quando oggi sono difronte alle piante di fico d’India mi emoziono e mi sale l’adrenalina. Dio mi ha voluto regalare questi vent’anni”. Il Mercato Agroalimentare della Sardegna “tra i suoi compiti, ha quello di valorizzare le produzioni locali – spiega Giorgio Licheri, direttore della Coagri Sardegna, l’ente gestore – e di consentire anche ai piccoli produttori la vendita a prezzi remunerativi. Gli acquirenti dimostrano di gradire il prodotto locale per l’elevata qualità e questa caratteristica li rende più competitivi rispetto ai prodotti siciliani che sono diventati il simbolo della regione nonostante i volumi annui non garantiscano la qualità e la continuità del prodotto come invece riesce a fare il nostro piccolo produttore, Ettore Boi – conclude il direttore – che coltiva con grande passione questo frutto ancora poco valorizzato in Sardegna”.